Il supervisore imperfetto

Diciamo che non avrei mai scritto, il supervisore imperfetto, per un motivo preciso: mettere nero su bianco una storia significa darle una fine.

Non significa che gli anni trascorsi fra il 1977 e il 2023 siano solo una parentesi chiusa, ma uno stimolo a ripensare a come ho potuto resistere così a lungo ad una vita che potrei definire con un flash: immaginati sull’orlo inclinato di un precipizio ghiacciato mentre corri con altissimi tacchi a spillo 24 ore su 24!

Ricordo chiaramente piazzetta Bossi a Milano, sede della società Explorer. Ricordo bene il disagio che mi circondava quando la responsabile field di allora mi spiegava quali sarebbero state le mie mansioni da supervisore: dentro pensavo al coraggio incosciente che mi ha sempre guidato, alle difficoltà, a come risolvere o aggirare gli ostacoli. Pensavo a tutto e a niente, ma ero pronto a mettermi alla guida dello stuolo di “casalinghe annoiate” che rappresentavano la forza lavoro di allora, le intervistatrici! Almeno potevo dire di avercela fatta, io unico non casalingo annoiato del gruppo ero stato scelto.

Da allora la forza lavoro è cambiata, oggi ci sono professionisti al posto delle casalinghe, ma il meccanismo è sempre lo stesso: dal field arriva la sensazione di essere considerato “un’ indispensabile risorsa”, di fare parte integrante dell’azienda, di essere il vero responsabile del buon andamento del lavoro – tu devi ribaltare queste certezze sulla rete degli intervistatori. Se mi avessero spiegato tutto ciò in piazzetta Bossi probabilmente avrei fatto il commesso o il cassiere, oppure l? annunciatore dei treni in partenza (reale mio antico sogno peraltro!).

Era anche l’unico ambiente lavorativo nel quale nessuno “lavorava per necessità”, parlare di soldi faceva volgare, si collaborava per noia, “per le spesucce settimanali”, per un viaggetto o, ancora meglio per fare un favore all’istituto o a me e “il bene” che mi dichiaravano tutti, lo sentivo chiaramente trasudare ad ogni convocazione, specialmente a fronte di lavori…..diciamo poco “belli”.

Diciamo che oggi i toni sono cambiati, ma i palloni gonfiati nella rete di intervistatori abbondano come in nessun altro, sono tutti geni incompresi, cantanti part time, attori falliti, studenti incapaci, pieni di richieste assurde e che necessitano di tutta l’attenzione del mondo; compito del supervisore è dare la giusta attenzione ad ognuno al momento giusto, tipo orchestra fatta di soli solisti. Così si portano a casa lavori incredibilmente complicati, la parola giusta, l’attenzione corretta e tutti corrono come i criceti sulla ruota. Per il supervisore è dura doversi confrontare con personaggi che nella vita normale nemmeno avrei mai incontrato, ma il settore non prevede obblighi per alcuno, la sola persuasione serve, i siparietti, la gioia nel sentirsi, la ruffianeria regna sovrana fra supervisore e rete di intervistatori!

Il supervisore è un male necessario sia per gli intervistatori che per gli istituti, è tipo il dischetto intervertebrale continuamente e improvvisamente sottoposto a stress: sei davanti alla tv, squilla il telefono e la tragedia corre sul filo………..”ha chiamato il cliente e dice che l’intervistatrice non è sul posto di lavoro……..”  che fare? Che dire? Chi chiamare? Chi convincere a correre a 200 km da casa per recuperare la figuraccia? Il cervello del supervisore non si spegne mai, deve muoversi, cercare, capire, ascoltare, recuperare col tono giusto tutti gli interlocutori.

Per questo odio ancora il lunedì che viene dopo la pace del weekend, odio il telefono, odio whatsapp, odio le e-mail; solo notizie negative perché gli istituti chiamano solo per gli aspetti negativi che tu devi risolvere, mai una volta per dire che va tutto bene, mai!

Il field interno degli istituti di ricerca rappresenta la soluzione a tutti i mali, supervisori e intervistatori sono il tramite per risolvere tutti i mali, in tutte le stagioni e per qualsiasi aspetto: oggi sei il leader di un team (negli istituti di ricerca si parla prevalentemente inglese, specialmente per definire ruoli altrimenti indefinibili!!!!), quindi devi affrontare interviste complicatissime a top manager di aziende con oltre 5mila dipendenti, domani sei una casalinga esaurita che cerca tutti i tipi di assorbenti e salva slip per comporre uno scaffale che esiste solo nella mente di un alieno, poi diventi un fotografo professionista perché si devono fare foto perfette col grand’angolo pur avendo a disposizione un normale cellulare, poi ci si trasforma in un persuadente figuro che cerca di entrare in casa di sconosciuti per misurare gli elettrodomestici con un metro di carta che diventa un essenziale “polliciometro”. Il top è che devi convincere gli intervistati che è capitata loro una fortuna quando il caso li ha estratti dalle liste elettorali, devono essere felici di stare ore davanti ad un computer che propina domande a raffica.

Ogni lavoro è un “delirio” perché nelle ricerche di mercato non esistono percorsi, domande facili e logiche, tutto deve essere complicato (forse per dare un senso) e quindi tu, supervisore/intervistatore devi sapere risolvere e verificare sul campo idee o progetti di persone che non hanno mai fatto un’intervista in vita loro o non hanno mai visto un “campo”.

Sono poche le esperienze che ricordo con gioia, mentre sono tantissime quelle che mi hanno divertito per svariate ragioni. Tra le poche esperienze gradevoli c’è senza ombra di dubbio l’organizzazione delle giurie del festival canoro di Sanremo, la scelta dei giurati, il viaggio con loro in pullman verso il teatro Ariston; di quella esperienza ricordo soprattutto le colleghe come se fosse oggi, l’allegria, la stanchezza, l’emozione del teatro più famoso d’Italia; anche se alla fine gli aspetti negativi superavano quelli attivi restava la gioia e questo mi ha chiarito che se vuoi una gioia te la devi cercare e persino creare. Così sono andato avanti tanti anni, cercando momenti lieti in un lavoro che non regala molte soddisfazioni, perlomeno alla rete sul campo.

A distanza di due mesi dal mio pensionamento volontario sento ancora lo squillo del telefono, seppure con nuova suoneria, come un nemico; la domenica sera mi addormento male, mi sveglio il lunedì di pessimo umore e adoro il venerdì pomeriggio perché sancisce la fine della settimana di guerriglia.

Ogni lunedì rappresenta un inizio faticoso e problematico, così come ogni primo dell’anno e via dicendo: questa visione abbastanza drammatica non è solo legata al lavoro di supervisore, ma anche! Credo che l’imperfezione sia il leit motiv che ha fatto funzionare tutto, il senso di non riuscire mai a fare le cose al meglio è la chiave che ha creato una rete di collaboratori in gamba e affidabili.

Ad oggi fatico ad interfacciarmi con gli interlocutori “lavorativi” forse perché è proprio “l’ imperfezione” che è venuta a mancare che ha lasciato un vuoto difficile da colmare; un grande cambiamento  che col tempo forse arriverà, che dire?

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