Sempre

Provochi il senso di estraneità ricreando l’invisibile

E qui tutta l’esistenza intera che è poi solo nostalgia.

Dormivo felice con la luna tra i capelli.

Patetica nostalgia, dignitoso dolore. Miasmi.

La mia personalità si stacca da me come una crosta ammuffita che mi ricorda di un tempo fatto di gioia e anarchia.

neve

Neve, imbianchi la coscienza

Io oggi sono appena nato

Saremo piccoli assieme

Andremo all’asilo

Avremo buste piene di caramelle

Faremo i giochi

Saliremo sui trampoli

Piano piano il mondo si allungherà

Crescendo balleremo il mondo in un girotondo

Appenderemo a festa girandole colorate e festoni e cordoni di luci rosa e rosse

Ci sarà la musica per tutte le contrade del mio cuore

E all’Orizzonte Tramonti rossi e albe senza fine.

il corso di scrittura creativa

Bologna, 16 marzo 2023

Quando mi iscrissi al corso di scrittura creativa non mi aspettavo qualcosa di particolare. Durante la prima lezione ho ascoltato e osservato un’umanità piuttosto variegata e disomogenea, purtroppo la mia struttura mentale da analista comportamentale si è innescata in automatico e quasi me ne scuso, un’analisi non richiesta è certamente un’analisi poco gradita. Comunque avevo capito che ogni cambiamento è giovinezza e arrendersi significa chiudersi nella scatola del tempo che passa veloce, il caleidoscopio degli anni si ferma solo cambiando.

Quindi eccolo il piccolo mondo chiuso in una stanza senza finestre, mai mi sono sentito così “pesce tropicale” circondato da “neri e silenziosi” che osservano e forse ascoltano gli altri, i “gialli e ciarlieri” che trovano nei corsi un modo per parlarsi, per esplicitare l’infelicità che li attanaglia,  i “blu navigati” che frequentano i corsi in primis per sciorinare le loro opere decantando una miriade infinita di insuccessi, gli “arancioni alternativi” che sono qui per caso e sono stati, forse, attratti da qualcosa di indefinito, di indecifrato, ma di sicuro profondissimo; i “bianchi folgorati” dalla loro immensa capacità indefinibile, ma sicuramente immensa!

La classificazione degli altri mi rende la vita più semplice, mi fa capire chi sono quelli a me più simili e quali sono invece lontanissimi, rende più oliate le procedure di avvicinamento e di raggruppamento aldilà degli inziali sorrisi circostanziali, nel caso io comunque scelgo i gialli e ciarlieri senza ombra di dubbio. Il momento che unisce e cattura tutti arriva improvviso quando si materializza il “compito a casa”; si deve scegliere una foto e ricamare un racconto, anche breve, ma un racconto stimolato ed ispirato da e ad una foto qualsiasi e non per forza nostra (io amo poco i racconti perché in loro non si sviluppa la complicità necessaria a crearmi interesse; il racconto non mi è complice! Inoltre lo vivo come frutto di chi ha poco da dire o sceglie di dire poco, ma questo è solo uno dei miei tanti limiti probabilmente, un limite certo alla mia concezione eroica della vita, un libro è tale solo se di almeno mille pagine, gonfio di dolore, malessere e lacrime! Magari lo scrittore ha pure la tisi ed è certamente poverissimo, solo attraverso la vera sofferenza l’uomo tira fuori le sue reali profondità!).

Apparentemente quindi imbastire un racconto sarà molto semplice, troppo facile e piuttosto banale come inizio. Il tempo scorre, la lezione finisce e ognuno la conclude coerentemente alle sue aspettative, al suo personale modo di rapportarsi; molte delle mie classificazioni sono corrette, ma come sempre, non così rigide come le vorrei, la vita come sempre sorprende in ogni suo aspetto, anche minimo.

Esco ed accantono il tutto dedicandomi alle sole rogne del vivere quotidiano e solo due sere dopo mi avvicino alla scatola delle fotografie per scegliere quella che sarà la sorgente del mio compito; guardo quella scatola bianca, liscia, non facile da aprire, la afferro e mi siedo.

Io e la scatola, una sera, le luci dei colli intorno a Sasso  Marconi illuminano le ville immerse nel silenzio, buie, un po’ ostili. La apro a fatica prefigurando un divertente viaggio nel passato, ma capisco dalla prima fotografia che non lo sarà; mi assale una tristezza strana, una morsa di tempo andato, non solo e semplice passato, ma andato via; passano i visi e i luoghi della mia vita a ribadire che la vita è solo un breve passaggio che va via senza lasciare troppo; adesso mi è chiaro perché ho scelto una scatola difficile da aprire, per aprirla il meno possibile, santo inconscio che spesso ci salva dal conscio che secondo noi umani dovrebbe addirittura essere l’ossatura portante della vita solo per relegare le emozioni al controllo da controllofili, spesso, mal celati quali siamo!

Tra tutte le foto così intime, così reali, così evocative, così mie, non riesco a scegliere.  Ogni foto scatena ricordi pieni di rewind, f.f., pause, play, stop che si susseguono furiosi mentre sfoglio i piccoli album digitando i fragili tasti del mangiacassette, non so più se penso alla gita al mare o al mio amico che non ho più visto, tutto si mescola ed emerge un fiume unico, la vita, la mia vita che non è ancorabile ai singoli ricordi tasto pause, ma tra i ricordi scorre e si snoda, spesso porta al futuro con rinnovata energia f.f., a volte si ferma – tasto stop – e lascia un rivolo al quale i superstiti si avvicinano, vi immergono le mani e vanno avanti, capisco quanto vero sia che l’esperienza non si accumula, che ogni giorno è una nuova sfida, mi sento anche banale – play, ma meno in pericolo perché dai ricordi ci si può anche difendere, tasto stop!

Improvvisa la cartolina col mazzo di stelle alpine rivolte al sole del mattino tiepido – nostalgia, di un colore così nitido e trasparente che ti permette di scorgere lontano il confine svizzero, i petali grassi si aprono alla luce quasi sforzandosi di essere in prima fila per avere il sole migliore, i gambi si stirano e diventano lunghi e sottili per avvicinarsi il più possibile al calore; le rocce dalle quali spuntano faticosamente sembrano vivere e fare parte di un impianto radicale unico, ingegnoso e spaventoso al tempo stesso, come lo sono i ricordi che si mescolano nella mia vita; sono di materie diverse che unendosi disegnano un sentierino circondato da macchie di colori a ribadire l’importanza delle differenze, della visione d’insieme che devo avere, dei dettagli che devo tralasciare e delle classificazioni inutili che devo smettere di fare; dovrei aprirmi alla vita di più e considerare gli altri anche come ricordi, foglie grasse, pregne di senso da capire. Le stelle alpine hanno una vita molto dura, è difficile superare l’inverno freddo e pieno di una neve tipica delle montagne altissime; i petali quasi si scardinano per dare evidenza al cuore della pianta, giallo, peloso che racchiude il senso della vita, il seme che farà sbocciare di nuovo. Quindi  i ricordi sono forse il cuore dell’intimità? Il seme che fa sbocciare ogni giorno una ritrovata energia? Il coraggio di chi va avanti a prescindere? E la luce ha davvero il potere di rinvigorirmi? La nostalgia vincerà sulla frenesia? Il punto di partenza obbligatorio dal quale sfuggo da sempre può essere bloccato da una scatola difficile da aprire?

Si a tutte le domande.

Tutta l’attenzione del mondo

Bologna, 3.3.2023

La solitudine è un luogo insopportabile, una dimensione inaccettabile, ti schiaccia, ti suggerisce di fuggire, di cercarti un hobby, un ragazzo che ti ama, nuove situazioni, di ucciderti, ma poi da morto non sarai ancora più solo? Se potessi rispondermi sarei già morto, avrei sistemato le cose sospese, smetterei di controllare anche le maree, imboccherei una lunga strada senza ritorno, volentieri.

Ho sempre amato le ferrovie e molto meno i treni perché ad un certo punto, magari in ritardo, ma arrivano da qualche parte; le strade ferrate con le traversine, i chiodi, i binari e le bianche massicciate si svolgono come cicatrici sulla terra, si sviluppano eterne, immutabili come il dolore di una ferita.

La bellezza delle cicatrici sta nel ricordo del dolore che con il passare del tempo diventa una coccola e un piacere intimo, le sofferenze, quando passano, diventano gioie e avventure da raccontare agli altri; le malattie mortali scampate, i catastrofici incidenti stradali, i rischi di annegamento fanno diventare più furbo e ricco di esperienza colui che li supera e fanno diventare alunni silenziosi e bambocci inesperti coloro che ascoltano; l’ho capito guardando la ferrovia dall’alto della collina, quell’immobile disegno bianco che si staglia nel verde dei campi mescolato al giallo del tarassaco; ho visto la ferita provocata dagli scavi e la successiva cicatrice riparatrice fatta di sassi, ferro e legno e di colpo il dolore si materializza e di colpo il malessere va via, sempre meno nemico.

Probabilmente non esiste la gioia, ma la serenità si, la rivendico; quel giorno tiepido ero sereno guardando la ferrovia nel verde, c’erano solo case lontane, verde e giallo, azzurro, all’ombra sottile delle dita di Hallah sulla collina, non ci sono nemmeno fastidiosi insetti e l’erba non macchia; non esistono ancora macchie nella mia vita e questo sapore consapevole è la mia forza ancora oggi, la mia capacità di riprendere fiato e forza la sera, da solo, in casa. Quel sapore di pace mi accompagna da quando ho smesso di cercare la felicità a tutti i costi anche in luoghi esotici e lontani.

Quel pomeriggio inconsapevole c’era la svolta, al posto della gita in bicicletta con Roberto e Riccardo sono rimasto a farmi aggredire dalla vita: la pigrizia è vita e ti aiuta a capire, non puoi correre o fare palestra perché il sudore distoglie l’attenzione, puoi capire solo restando fermo a guardare, con  la giusta temperatura, disteso comodo; per capire ci devi mettere tutta l’attenzione del mondo.

è nevicato…

Carpi, 9 gennaio

Comincia più o meno così il rapporto epistolare; il Daniele nostalgico scrive a quello frenetico che spesso non riesce o non può rispondere. Entrambi scrivono per riossigenare i ricordi che diventano sempre meno definiti col passare degli anni, effetto della vecchiaia o dell’indulgenza non so, ma tutto tende ad essere meno litigioso, meno deciso, meno forte, meno nitido, il grigio diventa il colore preferito come l’autunno la stagione diletta, quella dei pensieri più profondi; solo Narciso resta giovane e porta solo cattivi pensieri e pessimi consigli.

Niente è più struggente della neve che si scioglie. Ti si stringe il cuore. Capisci di colpo che la vita va via, che il tempo per tutte le cose finisce; anche Stefano, il cinico, ha un guizzo di tristezza davanti alla neve che si scioglie. Capisce che stanno succedendo cose che cambieranno la nostra vita senza biglietto di ritorno, che nonostante la nostra volontà saremo costretti a cambiare, a decidere, a scegliere nuove situazioni, nuovi ambiti, magari migliori, ma diversi; solo biglietti di sola andata!

La neve rappresenta a modo suo il ciclo della  vita: arriva desiderata, inattesa, sempre stupefacente, cade e copre tutto come il bambino nella fase accentratrice, poi il freddo la trasforma in ghiaccio, il gelo degli sguardi spesso delusi dei genitori verso i figli; poi la neve inizia a sporcarsi come la voglia di vivere dell’adolescente; restano poi macchie di neve sporca qua e là, come i fuggenti attimi di felicità, sempre più rari e ancor meno frequenti. Poi tutto si scioglie e resta solo il bagnato di lacrime nostalgiche per quella neve che ha cambiato paesaggi e prospettive inutilmente.

Cresce la frenesia di vivere mentre cala l’aspettativa di vita – siamo vecchi in un mondo nel quale l’esperienza non si accumula e quindi per sempre sprovveduti, fragili, incerti, impauriti.

Sono solo i genitori incapaci che pretendono l’amore incondizionato dai propri figli solo perché li hanno voluti e desiderati; sinceramente avrei voluto scegliere chi amare e forse oggi potrei amare a mia volta.

Sinceramente mi aspettavo una vita diversa, senza averla mai sognata, né strutturata, né auspicata, me l’aspettavo e basta, come naturale conseguenza dell’essere nato in un anno importante; ero certo che avrei avuto una vita “diversa”, ma senza sapere in cosa sarebbe stata diversa e diversa in che cosa e da cosa; ero certo che sarebbe stata non dico favolosa, né iper divertente, ma nemmeno così solita, così già scritta, in questa vita sono intervenuto il meno possibile, ho lasciato fare le scelte principali agli altri, ho guardato altri decidere, andare, tornare restando sempre lì a guardare, a vivere le vite degli altri senza saperlo, attaccandomi alle loro esperienze, criticandole, approvandole, ma il meno possibile e solo se costretto; in fondo preferisco viaggiare che arrivare. Ho sempre cercato le soluzioni più semplici, più comode e più remunerative; mi sono  esposto il meno possibile e ho avuto solo briciole emozionali per questo, ho vissuto le felicità e le infelicità degli altri senza mai cercare il primo piano da splendido ascoltatore quale sono – non sono riuscito ad amare davvero e nessuno mi ha mai amato davvero, a parte una pletora di disperati che preferivano semplicemente me al niente garantito. Non so nemmeno quando ho iniziato ad aspettarmi qualcosa, oggi mi accorgo che ho solo sempre aspettato e sognato, ma da quale preciso momento non saprei .

Ogni giorno uscire di casa sperando di trovare un uomo che mi amerà sinceramente tutta la vita, vestirmi per lui, mettere l’occhiale giusto per lui, profumo e deodorante buono, sistemare la casa e rifare il letto perché, rientrando con lui, non creda che io sia uno sciattone, disordinato e inaffidabile e quindi non in grado di amarlo come lui mi amerà; anche il deodorante per ambienti scelto pensando al suo odorato perfetto abituato al benessere, al piacere, a me insomma. Un uomo che potrei incontrare ovunque e che non ho mai nemmeno visto da lontano. Oggi questo sogno mi ha abbandonato, ma mai del tutto, è sempre latente, insidioso, a volte mi incatena, non riesco ad essere quello che sono fino in fondo perché mai vorrei che lui mi vedesse fuori posto o per quello che veramente mi sento. Monica voglio semplicemente ed ancora ribadire che il secondo amore non si è ancora visto, ma il tempo sì che si è visto.

è colpa tua

….. se sono qui ad aspettarti pur sapendo che non arriverai?

È colpa tua se non arriverai perché non mi vuoi abbastanza, non mi ami veramente, sinceramente, completamente

È colpa tua se non esisti, se sei solo una mia idea, un desiderio, una voglia di non essere solo, non è colpa mia se sono solo, è colpa tua, solo tua …

È colpa tua la colpe del mio malessere, tu non sei venuto e io sono solo, quindi sono infelice per colpa tua

Voglio solo compagnia e tu non esisti, per colpa tua sono triste e solo

Non sono solo, sono con la tua colpa.

Mi sento così da quando ci siamo staccati stanchi ed esausti; diciamo che il tuo vuoto che mi hai trasmesso, è pieno del tuo solito vuoto, vuoto su vuoto; vuoto contro vuoto.

Il nulla che porta la pace non è mai arrivato. Non mi sono mai abituato ad un’idea di vita pianificata, ad un’idea abitudinaria di vita, ad un’idea di vita forse. Mi sento abbastanza confuso da ricordi più o meno lontani e vaghi, più o meno chiaro scuri,  in fondo a furia di voltare pagina finisce il libro!

Le pieghe dell’esistenza ci hanno separato come quelle dei tessuti separano fra loro le valli della ruvidezza prima della stiratura; sensazione di abbandono che subentra all’abitudine al vuoto, piega/liscio/piega/liscio e poi tutto liscio, morbido come il senso di abbandono, come la solitudine che è anche gioia, poi tristezza, ossessione, malessere, nostalgia, frenesia, ho già nostalgia del futuro frenetico.

adius, è passato un anno…

il tuo viso esiste fresco

mentre una sera scende dolce sul porto

tu mi manchi molto

ogni ora di più, la tua assenza è un assedio,

ma ti chiedo una tregua prima dell’attacco finale,

perchè un cuore giace inerte rossastro sulla strada

e un gatto se lo mangia fra gente indifferente,

ma non sono io, sono gli altri

e così vuoi stare vicino, no

ma come ……………….. sono secoli che ti amo

cinquemila anni e tu mi dici di no?

perchè eri bello, bellissimo e non ridere

dammi una sedia, va.

Agosto 2022, il primo ferragosto senza te.

Lo penso ogni volta che ricordo quei nidi fra i filari del vigneto dei nonni, hanno tutti cercato di farmi capire che volare significa vivere, io penso ancora che il nido è meglio, caldo, accogliente; della vita si può fare a meno probabilmente, ma non ci è dato provarlo nei fatti.

Le strade di Carpi sono il mio nuovo presente da quando la casa dei miei genitori si è liberata; piene, ma di gente vuota, di auto piene di persone dagli sguardi svuotati, senti che ti guardano senza vedere che ci sei, sorpassano e vanno, non li rivedrai mai più, un vuoto vero, poi pioggia, sole, strada, autostrada, casello, verde, un cimitero, gente che rincorre una palla, niente.

Rivedere l’appartamento vuoto mi ha fatto capire che sarei tornato qui, la stanza con la poltrona a fiori dove dormiva mio padre, la cucina che odiava mia madre costretta a preparare tre pasti al giorno per una vita, la mia stanza, la più calda, il mio armadio di legno e pelle gialla aperto, violato nelle ante e sui ripiani, ma solido come l’amore che mi circonda fra questi muri terremotati, ma solidi e pronti a riprendermi. Ho sentito un vero abbraccio, la setta sensazione fra le braccia della zia che mi portava la sera in campagna col motorino; arrivavo nella casa, lungo il vialetto ghiaioso ornato di sempreverdi con ingenui fiorellini bianchi e vedevo la nonna davanti al fornello dalla finestra, si gira un sorriso ed era casa.

In fondo a sinistra l’argine del fiume sulla statale per Correggio, un fiume piccolo con un grande argine; mio nonno diceva che gli argini servono per contenere le alluvioni che sono  solo nuvole di farfalle impazzite. Dall’altana fra i tetti guardavamo piovere con una sensazione di sicurezza, lì le farfalle non possono arrivare. Da sempre gli alluvioni non mi spaventano, santo imprinting.

I fiumi sono da sempre presenti nelle storie della mia vita, c’è sempre un fiume a suggellare ogni evento; fiumi poco importanti, spesso canali piccoli e poco profondi, con nomi ridicoli e locali, ma sempre presenti. Ollie è un grande amore, il ragazzo col naso lungo e curvo, occhi e capelli neri, senza spirito e senza istruzione – la prima volta che l’ho visto era sulla riva del fiume Tresinaro, nel punto più verde e bello del fiume, pieno di salici piangenti, erba che finisce nell’acqua, avevo l’impressione che avrei potuto saltare da riva a riva senza bagnarmi i piedi e questo mi dava una profonda sicurezza e un completo dominio della situazione. Ho sempre pensato in fondo che il paesaggio mi ha fatto vedere tutto più bello del necessario. Sbagliavo, ho saltato il fiumiciattolo e mi sono bagnato i piedi, ho amato Ollie e ho sofferto tanto, così tanto che sono cambiato; ho fatto soffrire tutti coloro che mi hanno amato restituendo in alterigia, superficialità e inconsistenza; ho così creduto in te e nelle tue ambizioni da lasciarti andare via con quello che ti avrebbe dato quello che volevi per davvero – i soldi! Poveri voi che brutta vita fra le tue corna gay e conseguenti risse, lui ubriaco tutto il giorno e tu scocciato anche dai  soldi, che brutta vita vi siete cercati!

Mi sono fatto da parte dopo sette anni di amore senza una parola, ho speso tutto il mio amore possibile, non ce ne sarà più per nessuno anche se Monica sostiene che l’amore vero arriva due volte nella vita e, quando sono di buon umore, penso al prossimo; sono scappato dalla provincia verso la città ubriaca di luci e di notti folli anche per colpa tua, ho vissuto varie vite spesso sbagliate.

 Non ho mai dimenticato quante corse folli per te, quante cose inutili ho fatto e tutto mi è tornato alla mente in quel pomeriggio di reciproche sincerità; ti volevo fare pagare tutto e non capivo che stavamo pagando entrambi un prezzo che nessuno aveva stabilito, ma che tu, come sempre, hai accettato!

La banalità del bene

Mi sento soffocare dal bene che mi circonda da sempre. È una specie di cappa che mi ha riempito  di debiti, di doveri, di pensieri di riconoscenza, di ricatti, di dipendenze e quindi di dolore. Il bene mi fa del male. Del resto non ho potuto scegliere a fronte della mia indecisione costante per tutte le scelte, le amicizie, il mio atteggiamento supino alla vita; mi sono sempre fatto voler bene per ignavia e non per scelta. Non ho fatto mai nulla per spingere qualcuno a volermi bene, ho semplicemente accettato il bisogno degli altri di volere bene a qualcuno. Sono stato il riempitivo di vite vuote, il desiderio di vite sbagliate, il ricordo di vite lontane e non sono mai stato io, alla fine. Sono stato trattato come un cucciolo tutta la vita perché non sono mai cresciuto davvero, sono diventato vecchio solo nell’involucro, ma non nella sostanza. Ancora oggi mi capita di sentire un fremito profondo, un brividino, una gioia saettante, quando qualcuno dice di volermi bene o mi apprezza solamente o mi mette un like. Continuo a farmi voler bene per quello che rappresento di volta in volta davanti al pubblico sempre differente e che mai si mescola per ovvi motivi; emergerebbero sfaccettature che forse non mi farebbero poi essere benvoluto del tutto.

DIETRO LA GRATA

Emma l’aveva salutata semplicemente voltandole le spalle come era sua abitudine da sempre.

Anche adesso nell’ora dell’addio definitivo nessun gesto pacificatore. Bianca era rimasta a guardarla e ad aspettare che dietro di lei si chiudesse per sempre la porta del chiostro.

Poche parole prima del silenzio a cercare di riannodare i fili che la vita, le scelte o un demone nascosto avevano confuso per sempre.

“Vorrei solo il tuo perdono. Non lo merito , non fa parte del gioco, ma tu ora non fai più parte di questo mondo ed i suoi giochi ti sono lontani. Per la mia pace, che non sarà mai pari alla tua, non posso andarmene cosi’!

Emma l’aveva guardata e lei non aveva saputo leggere il suo sguardo: le pareva che il ghigno beffardo che ben le conosceva non la avesse abbandonata nemmeno adesso.

 Il gioco del mondo doveva continuare: un vincitore ed un vinto e a soccombere adesso doveva essere lei.

Passarono dieci anni. Nessun filo riannodato, niente che avesse riallacciato le vite delle due sorelle: quella di Emma al riparo, dietro la sua grata, dalle brutture del mondo e quella di Bianca che dal mondo aveva cercato di cogliere a piene mani.

E adesso quella lettera inaspettata che Emma aveva ricevuto nella quale Bianca chiedeva di poterla incontrare, davvero per l’ultima volta diceva. Si era chiesta che cosa ancora potesse volere da lei, che cosa ancora fosse rimasto in sospeso. Tutto quello che poteva portarle via già glielo aveva preso: l’amore, la giovinezza, la gioia. E lì l’aveva segregata perchè se era in quel luogo senza tempo, era lei che ce l’aveva buttata: lei e lui, lui che non aveva più nemmeno un nome,  nemmeno nel pensiero.

Di chiedersi cosa volesse non aveva smesso fino a quando se l’era trovata davanti invecchiata e spenta.

“Lui non c’è più” le aveva detto con la voce ferma che non si aspettava. Immobile, gli occhi fissi nei suoi.

“Sono qui per chiudere il cerchio e i conti, per riaffidarti tutto quello che ti ho portato via.

 La parte migliore di noi è rimasta dietro quella grata, questo continuava a ripetermi lui. La parte migliore, quella a cui appartengo anch’io e lo comprendo solo adesso.

E qui, adesso, quell’amore che ti ho rubato ti riconsegno perchè sia tu a conservarlo, te lo meriti. Io merito solo oblio, senza ricordi, un futuro breve e doloroso”

Adesso era Emma a non riuscire a rimanere immobile, gli occhi velati che seguivano Bianca, le mani avvinghiate alla grata.