La bottiglia rotta è amore

Stavo nel calore tremendo dell’edicola con la porta chiusa per evitare i vagabondi malintenzionati che rubano l’incasso; zia Bice continuava a ripassarsi le labbra con un tubicino nero che lasciava una scia rosa acceso, era convinta che spargere il rossetto oltre il  bordo delle labbra sottilissime, le allargasse; dopo il rossetto si tranquillizzava, lo sguardo diventava meno acceso e la voce più delicata, oggi capisco che si sentiva solamente più bella. Capelli biondo cenere, occhi stupiti o stupidi, mai capito! Vestiva da signora bene e non amava ballare il liscio mentre il marito era un campione di tango; la pigrizia le è costata un’amante tanghèra per il marito tanghero.

Lui l’amava tanto nonostante avesse un’altra, ma si era arreso alla durezza di zia Bice, al suo rossetto che non pennellava per lui, ai ricci che non pettinava più per lui; una volta mi disse che avrebbe dato tutto per riavere l’amore di sua moglie, io non ho capito, ero piccolo, ma ricordo che era una brava persona.

Io non amavo leggere le riviste in fondo, ma passavo il tempo ad osservare le persone coraggiose, che per acquistare un giornale, sfidavano il calore assordante del primo pomeriggio d’estate. In tutto questo calore c’era un ragazzo giovane, ma quasi pelato, un lavorante del mercato coperto con uno sguardo rassegnato da una vita preordinata, che ci portava con regolarità bottiglie verdi di acqua fresca, acqua della fontanella nel giardinetto. Berla era una gioia tale che il caldo diventava meno assillante solo all’idea che sarebbe arrivata  la prossima bottiglia.

– ciao giuvan, at ringrasi per l’acqua, ti propri un brev ragaz – in dialetto l’intimità era regina dell’incontro; scorrevano mondi dietro quelle parole che mia zia ripeteva ad ogni bottiglia, monotona come il caldo di Carpi. Quel giardinetto ombroso con la fontana al centro era diventato un luogo magico per me, l’oasi da raggiungere ad ogni costo, per l’acqua e per Giovanni che era il mio idolo, banale, ma forte e capace di quegli abbracci che mio padre mi ha sempre negato – mi voleva chiamare Francesco, mia madre non volle, ma per mio padre sono lo stesso Francesco. A metà pomeriggio Giovanni sparisce, il caldo no e quindi decidiamo che  andrò alla fontana, zia Bice non può lasciare l’edicola; questo incarico mi riempie di ansia e di attese

– zia, ma sarò in grado di portare la bottiglia, di riempirla?-

– ma si caro e se non riesci chiama Giovanni che sta pulendo la verdura per domani- Afferro la bottiglia ed esco, cammino lento, ma poi il sole a picco mi spinge ad accelerare, a correre su quel selciato sconnesso e pieno di sassi sporgenti. La punta del sandalino di cotone blu e bianco si infila sotto un sasso e io cado in avanti, la bottiglia si frantuma con grande rumore, alcuni cocci si conficcano nel mio braccio destro e nel piede sinistro. Mi guardo piangendo, il fiume di sangue che scorre è l’unica sensazione che ho scolpita in mente. Sento ancora il calore del sangue sul braccio, i peli del corpo che si rizzano e il silenzio innaturale che dura un tempo impreciso. Corre Giovanni e mi sento subito meno in pericolo, arriva la zia e penso ai ladri in edicola; sono tutti sconvolti e atterriti più di me, la zia mi guarda e ritorna all’edicola per due motivi, difenderla dai ladri e telefonare a mia madre che arriva in tutta fretta e con il suo fare direttivo capisce al volo che non morirò a nove anni. Con l’auto di Giovanni mi porta al pronto soccorso.

– ma giovan, at iva dit ed guarderel bein, so zia la peinsa sol a leser dal stupidedi, non è buona nemmeno di tenersi il marito –  scandisce di colpo in italiano

– ma a l’ho guardè, ma a dev anc lavurer, me –

adesso tacciono, siamo in sala d’attesa, io bendato con fazzoletti bianchi da naso. Esce il medico, mi prende per mano e mi porta nel fresco ambulatorio, mi mette due punti nel braccio e uno nel piede. Ritorniamo all’edicola dove l’apprensiva zia si calma e tutti mi guardano con amore rinnovato e ritrovato, divento per tutti l’eroe guarito e sono quasi felice delle ferite, amo ancora profondamente quel momento di vera felicità. Ma un dubbio poi mi prende, un dubbio per il quale attendo ancora una risposta

 – come mai uno che fallisce viene amato e coccolato lo stesso? – ho rotto la bottiglia verde ancora vuota e mia madre mi ama lo stesso? Non ho portato l’acqua fresca alla zia e lei mi ama lo stesso? Ho impedito a Giovanni di lavorare e lui mi ama lo stesso? Difficile capire le cose della vita – pause? Play – è facile capire che questi abbracci rassicuranti a mio padre sono stati negati e lui non si è sentito amato dopo “l’errore Francesco”; sua madre fredda, distaccata, lavoratrice, ma stanca non lo ha mai abbracciato, suo padre ha cominciato a guardarlo con occhi diversi, poi è morto dormendo in pochi mesi. Mia nonna ha vissuto di rimpianti, di dolorosi ricordi e questo ha distrutto la vita ai superstiti; non aveva tempo di trasmettere amore, di abbracciare i suoi figli; era rimasta immobile nell’abbraccio a Francesco nella bara – un breve addio, veloce e concreto, come sono le persone dalle mie parti.

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