IL Rimorso

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Per ultimo, quando si è ritrovato sul suo letto di morte, sapeva che sarebbero mancati pochi istanti da lì in poi. Avrebbe smesso di essere e, nonostante i suoi 90 anni, i pensieri continuavano a viaggiare in quel residuo cerebrale senza sosta alcuna. Era un uomo che aveva vissuto tanto. Alto, molto alto per i suoi tempi. Superava oltre il metro e novanta. Aveva una struttura fisica possente. Le spalle enormi, le braccia e le mani gli davano il nomignolo di ‘ruspa’ nel suo paese. Un uomo davanti al quale si retrocedeva perché, anche se non minaccioso, la sua corporalità possente emanava un senso di inquietudine. Era gentile con tutti. I suoi occhi color turchese chiaro erano penetranti e ammalianti. Non potevi fare a meno di non perderti in quell’iride tanto chiara e restare ipnotizzato nei tuoi pensieri o forse imprigionato dai suoi quando lo guardavi negli occhi. Era forse questo il motivo per cui si evitava di parlare con lui guardandolo in faccia. Nonostante la sua straordinaria bellezza. Era sempre curato. Anche quando lavorava. A chi capitava di vederlo fare il bagno al fiume, vestito solo del suo costume, poteva ammirare quel corpo di rara e straordinaria bellezza che custodiva con meticolosità e naturalezza in ogni dettaglio compreso le unghie delle mani e dei piedi. Non un callo, non un durone, non un pelo di troppo. Una bellezza rara e disarmante che oscillava tra l’erotico il romantico e l’epico. Anche ora che era sdraiato, a quell’età, su quel letto in attesa dell’ultimo fiato risultava bello. Questo era inquietante in modo inspiegabile come lo era lui agli occhi degli altri. Quando si parlava di lui si riusciva a dire poche cose, non suscitava voglia di approfondire chi fosse, oltre il necessario. La sensazione era come se, entrando in intimità con quell’uomo, si avesse il timore di scoprire cose che avrebbero potuto deturpare la sua perfezione.

Quali siano gli ultimi pensieri di un uomo prima di morire è difficile da definire, ma i suoi furono i seguenti e cioè i più terribili momenti della sua vita o per meglio dire di quella degli altri. Anche se nessuno ancora oggi può immaginare che una tale persona possa avere ricordi di tale portata.

Li riconobbe come terribili momenti della sua vita esattamente nell’istante in cui era pronto a morire. Quegli ultimi istanti della sua vita furono occupati da dei ricordi che mai si sarebbe sognato che fossero stati gli ultimi e che riguardavano le più atroci azioni commesse, le più vigliacche manifestazioni di tutto il suo essere e non riusciva a capire perché e non si dava pace. Cosa volevano questi ricordi da lui? Perché invadevano la sua mente. Perché non lo lasciavano in pace in quel momento così delicato dove ormai tutto era stato detto e fatto. Non tutto, a quanto pare.

Nel frattempo fuori le rose erano al massimo della loro bellezza. La sua casa era circondata da un giardino il quale perimetro aveva personalmente arredato di rose White Rock che curava con minuzia da sempre. Erano rose meravigliose e ed era la seconda parte del nome che associata alla prima faceva risuonare in lui il piacere di possedere quella pianta. Roccia. Roccia bianca. Nessuno doveva osare toccare le sue rose. Dalla finestra si poteva ammirare l’immensità del suo operato come se queste ‘rocce bianche’ lo stessero beffeggiando fiorendo al sole come non mai e illuminando con il loro colore bianco riflesso come un aurea celestiale il giardino, mentre lui moriva, come se al posto del cuore avessero una roccia. Impietosi del suo triste momento. Eppure era lui ad averle cresciute e curate e dopo la sua morte sarebbero probabilmente morte con lui. Ciononostante esse abbagliavano la vista al loro colore più puro.

Ma come, era stato un buon padre, un buon marito, un buon uomo, riconosciuto come tale e rispettato nella sua comunità, nella sua famiglia? Aveva dato da mangiare a tutti coloro che avevano fame, aveva istruito i suoi figli e accudito sua moglie. Si era prodigato nella parrocchia e quando e dove c’era qualcosa da fare, da aiutare lui non mancava mai. Perché questi ricordi ora? Cosa volevano? Cosa? Con quella pelle consumata dal tempo che non si rigenerava ormai da decenni, trasparente quasi a tal punto da riuscire ad intravedere le sue ossa, i pensieri violentavano la profondità della sua essenza portando a galla quello che era stato completamente cancellato, apparentemente, durante tutta la sua vita. Forse perché la pelle quando invecchia non fa intravedere solo le ossa, ma anche quello che è più nascosto dentro, nel profondo, nel midollo.

90 anni di un’esistenza fatta di progetti di lavoro, di costruzione familiare, di dominio della vita e di perdono verso gli altri, ridotti a quegli ultimi unici ricordi di se. Che beffarda la vita quando un uomo così forte, che ha dominato con la sua imponente bellezza il mondo intorno a sé, si ritrova imprigionato e schiacciato con le spalle al muro dai suoi stessi ricordi di azioni commesse e alle quali non aveva mai dato alcuna importanza nella sua coscienza. Non aveva mai dato nessuna importanza. Nessuna importanza. Importanza. I fotogrammi dell’orrore del sé. Ormai aveva visto tutti, persino il prete, con tanto di perdono dell’ultimo momento al Signore per accedere alle porte del paradiso pulito, lindo, evanescente, privo di tutti i suoi peccati. Eppure la violenza con la quale i suoi peccati, quelli veri, sono tornati prepotentemente a dominarlo, a fargli subire i suoi stessi orrori, gli fecero vivere gli ultimi momenti della sua vita nella disperazione una volta messo a conoscenza della totale inutilità del suo vissuto terreno e la prospettiva del suo andare verso un futuro che senza l’esistenza non era. Lui stava morendo. I suoi occhi erano già chiusi.

Ricordò perfettamente quel giorno in cui prese quel ragazzino di 10 anni più piccolo di lui e lo picchiò con calci alla testa. Aveva voglia di andare a mangiare la pizza. Aveva 24 anni. Era splendido. Il ragazzino era ignaro. Arrivava dal paese e attraversava le campagne per tornare a casa. Lo fermò e gli chiese se avesse soldi con se. Era di una famiglia abbiente, di solito non girava mai senza soldi. Gli disse di si. Lo intimò di consegnarglieli. L’altro si rifiutò, arrivando, di fronte a tanta cosa, a minacciare di raccontare tutto a casa. Il vecchio ricordava perfettamente l’odore della neve. Il freddo. Il bollore che sentiva. Ricordò come i nervi sotto le narice innalzavano automaticamente il labbro superiore facendolo vibrare nevrotico. Ricordò la potenza che si concentrava nelle gambe tendendo i muscoli in matasse di corde di acciaio tese e rese ancora più forti dal freddo che aspettavano di scalciare come un purosangue arabo tenuto in stalla per troppi giorni. Ricordò la sensazione dei calci che infliggeva sul volto e sullo stomaco forti a tal punto che il sangue aveva coperto talmente tanto il bambino che non si riusciva a capire le ferite, quanti e quali fossero e da quali parti sgorgasse la linfa vitale e ricordò anche quel povero bambino che per essere rapinato di una manciata di quattrini rimase cieco ad un occhio per tutta la sua vita. Un nervo ottico tranciato dalla suola di cuoio sporca e tagliente, indurita dal freddo invernale e delle scarpe grosse di lui, il morente. Ricordò ogni calcio che inflisse. Ogni volta che la punta delle sue dita dei piedi, quei bellissimi piedi, si scontrava con l’interno della sua scarpa di pelle dura all’urto del corpo tenero di quel povero bambino, ogni volta che infieriva un colpo il piacere lo invadeva, questo è quello che ricordò, la punta del piede che batteva contro la sua scarpa che batteva contro quel corpo.

La successiva immagine che ora invadeva la sua mente era quella di quel ragazzo che malmenò, incoraggiando anche gli altri a farlo per ore ed ore, perché scoprirono che era un omosessuale. Lui il vecchio da sempre era uno che rideva. Ed aveva uno dei sorrisi più belli che ci si potesse immaginare. I suoi denti erano bianchi come i petali delle sue rose e perfetti. Contornati da labbra meravigliose che invitavano al bacio d’amore. Ricordò come si divertiva ad infliggere tutti quei calci nei testicoli, lì in mezzo alla strada, con lui a capo del branco che comandava e incitava a seguire il suo esempio, a quel finocchio, fino a farlo quasi morire. Oh si, come arrivarono chiare e limpide quelle immagini. Poté udire persino il rumore delle nocche delle sue mani che si scontravano con le ossa del povero essere che aveva ridotto ad un eunuco. Ricordò perfettamente il suono della sua voce eccitata ed urlante. Una voce magnifica, suadente, profonda ma morbida. La voce di un uomo che ti avrebbe protetto con la vita. Quella voce si trasformava in un suono terrificante, stridula che emanava slanci di acuti taglienti da quella bocca perfetta con i denti magnifici, mentre urlava ed incitava al massacro. La ricordava perfettamente. Quella voce gli risuonava nelle orecchie. Come un tamburo africano che annunciava la guerra, per ore e ore gli risuonava all’interno di quel bellissimo cranio. Su quel letto. Quel rumore secco, istantaneo veloce del setto nasale che si spezzava al contatto del suo pugno serrato. Il rumore di quelle falangi di acciaio che infrangevano il volto del ragazzo gli risuonava nelle orecchie come fosse ad un millimetro dal tempo in cui realizzava il massacro. Quella scena era tra i suoi ultimi ricordi. Chi avrebbe mai potuto attribuire a mani tanto belle e meravigliose, che potessero essere lo strumento di realizzazione di tale orrore. Quel brivido sadico di allora, gli scorreva lungo la sua vecchia schiena facendogli venire la pelle d’oca, a quel vecchio morente. Sdraiato su quel letto con quella pelle d’oca era invaso da un senso di eccitamento, ancora. Persino il suo pene si inturgidiva nel mentre i ricordi lo violentavano. Non era possibile fermarli. Riviveva su quel letto, in quegli ultimi istanti, quei ricordi senza via d’uscita. Non poteva fermare il rigonfiarsi del suo sesso così inopportuno, lì, su quel letto, in quel momento, davanti a tutti, i suoi figli, i suoi nipoti il suo mondo. Quel bellissimo pene che tanto era stato ammirato e persino ambito o invidiato. Sentire il rantolo delle sue vittime, suoni così vicini, così realistici, così veri,  le loro suppliche mal espresse con le ultime forze che il dolore permetteva loro di avere, quella melodia del dolore e della sofferenza, il potere della sua violenza bestiale ed il battito incessante e tumultuoso del muscolo più duro, il suo cuore, erano le immagini ultime di sé, i ricordi ultimi di questo uomo morente.

Sì ricordò di come si sentì orgoglioso e mascolino quando violentò la sposa del suo migliore amico nel bagno del ristorante il giorno delle sue nozze. Lei andò in bagno, lui usciva dal bagno. Lei gli sorrise educatamente, lui contraccambiò il sorriso. Erano lì nel ristorante in cui si festeggiava l’evento felice e sentì ancora chiaramente come fosse ieri, come a quell’incrocio di cortesi sorrisi il suo membro divenne duro e gonfio. Penetrarla lacerandole le pareti vaginali sotto quell’infinita quantità di tulle candido e bianco schiacciandola sul pavimento era un altro dei suoi più vividi ricordi su quel letto. Si ricordò riprovando ogni singola sensazione, ogni tatto, ogni sfioramento delle carni nude, di come godeva dello sguardo di quella povera donna che con gli occhi spalancati  fissavano un punto nel vuoto ed era ormai già in un altro luogo con la mente. Quella donna cercava di sfuggire a quel momento in cui un uomo stupendo come un angelo la stava lacerando e schiacciando con tutto il suo peso. Quella donna fuggì all’evento fissando le rose White Rock che si erano arrampicate fino alla finestra del luogo in cui si espellevano i rifiuti corporei, come fossero lì per lei. Alla bellezza che violentava la donna veniva chiamata in soccorso la bellezza che invadeva spazi arrampicandosi al cielo e che lo stesso uomo, bellissimo, che stava violando una sposa bianca come quelle rose, aveva piantato e curato. Alla memoria gli rinvenne come eiaculò in lei, e di come pensò in quel momento con la donna sotto di lui che raramente aveva eiaculato in vita sua tanto, godendo a pieno  del flusso di sperma che invadeva uno spazio estraneo proibito e violato con fiotti violenti e potenti. I ricordi fecero rifiorire a questo vecchio morente la sensazione precisa delle ossa del suo bacino che batteva contro il quello di lei. Ricordava quel suono, e ricordava quanto gli piacesse quel rumore, tanto da colpire sempre più forte per aumentarne il volume a costo di spaccarlo, quel bacino, con il suo.  Come l’anta di una finestra che sbatteva contro il muro durante una tempesta. TacTacTacTac… .  Il suo meraviglioso corpo disteso su quello di una sposa in bianco schiacciata su un pavimento freddo e bianco a sua volta. Il vecchio ebbe anche questa come tra le immagini ultime durante l’ultimo passaggio terreno.

Il ricordo della sua potenza quando malmenò il suo migliore amico, lo sposo, il marito, che tentava di difendere l’onore della sua giovane sposa, spingendogli la testa nel water di quel bagno in cui aveva violentato sua moglie gli tornò prepotentemente alla mente. Udiva nel suo ricordo ancora il suono della sua stessa voce ferma, intensa e violenta che intimava l’amico a stare tranquillo e di andare a fare il pranzo perché di là si doveva ancora tagliare la torta anziché morire nel cesso. Quella voce ferma, che non lasciava adito a repliche rimbombava nella sua testa. Un tripudio di ricordi stava rivivendo nel vecchio sul suo letto di morte. Ricordò la sensazione di allora mentre la sua meravigliosa, bellissima, mano forte e grande bloccava l’area parietale e occipitale del cranio stritolandolo nella sua potente morsa. Sentiva vivo il ricordo di  come i suoi grandi polpastrelli spingevano contro la testa di quell’uomo tirandogli i capelli, tagliati a fresco per l’occasione, strappandoli dal cuoio capelluto alla radice, mentre lo spingeva nel water. Ricordava quanto godeva, quanto gli piacesse provare quella forza, quella potenza in quel momento, che confermava il suo dominio sul mondo. Quell’uomo con i pantaloni ancora slacciati, le mutande macchiate dei residui di flusso del suo seme, che schiacciava la testa del suo migliore amico nel water con una mano mentre si batteva il pugno sui suoi infiniti pettorali come uno scimpanzé in segno del suo potere. Lì sdraiato su quel letto, poteva udire il battito del sangue che pulsava nella carotide destra come allora, come fossero le pulsazioni del suo pene mentre espelleva senza pietà lo sperma in quella donna. Queste le immagini e le sensazioni su quel letto poco prima di diventare il nulla.  Poteva rivedere in modo limpido e chiaro come non aveva visto più da allora,  l’immagine di questo uomo in ginocchio con la testa bagnata dall’acqua del water alzarsi ed uscire dal bagno a capo chino, sconfitto.  Con i capelli bagnati e il colletto della camicia zuppo. Poté ricordare se stesso mentre fiero osservava lo sconfitto uscire dal suo campo di battaglia. Il cesso di un ristorante. Poteva sentire l’odore acre di quel bagno. Ogni dettaglio tornò alla mente senza privarlo di alcun minimo ricordo. Si ricordò anche i loro volti distrutti quando, nella loro auto il giorno dopo, lasciarono il loro paese anziché partire per il viaggio di nozze abbandonando una vita intera, passata e futura. Quella scena dimenticata di quella macchina che si allontanava non gli fu esclusa dai ricordi, su quel letto di morte. Quella donna non ebbe mai figli. Nel fotogramma della memoria di questo uomo steso su un letto, costretto a rivedere ogni cosa in ogni dettaglio, anche la polvere che si alzava dietro l’auto che fuggiva da quell’orrendo evento, gli impolverava gli occhi. Nonostante fossero chiusi. L’odore di quella polvere secca estiva e il suono del silenzio che  faceva udire il rumore dei pneumatici che rotolavano sul selciato schiacciando i sassolini penetrarono le narici e le orecchie e non poté fare nulla per impedirlo. Era morente. Era troppo debole e inerme. Come una vittima.

Steso lì, su quel letto, infermo, senza alcuna possibilità di reagire, con gli occhi chiusi perché non riusciva a trovare la forza di aprirli, nella mente continuavano ad apparire le immagini della sua vera essenza, di quello che era, in quella esistenza trascorsa semplicemente a fare del male al prossimo. Era indifeso. Stava subendo. Nemmeno il candore delle sue White Rock potevano salvarlo.

Un altro ricordo che ora invadeva la sua mente era di quella donna che attraversava il paese, doveva semplicemente attraversarlo, con le sue borse in mano. Una giovane donna. Lui si divertì a schiacciarla con le spalle contro un muro urlandole ad un millimetro dal viso, spaventandola a morte, terrorizzandola con le sue grida sfiatate in faccia mentre sbarrava i suoi occhi dal colore immenso. Gonfiava le sue narici ed emanava dalla sua meravigliosa bocca con tutti quei denti bianchi come petali di White Rock quei suoni terrificanti. Ricordò l’orgoglio derisorio che provava mentre le faceva battere la nuca contro il muro, all’indietreggiare della povera, che non le permetteva alcuna via di fuga, finché non si urinò addosso. Dalla paura. L’odore dell’urina la sentiva, il morente,  entrava nel suo reticolato mnemonico. Il piscio gli invadeva i fori del naso come se stesse affogando in quel liquido giallastro. Aveva la sensazione che gli stesse colando in gola, ma essendo sdraiato lì su quel letto, non poteva che ingoiare, deglutire, mandare giù, per non soffocare. Intorno a lui, al moribondo pensavano fossero tentativi di respirazione perché il suo meraviglioso pomo d’Adamo ondeggiava in modo nervoso. Coloro che circondavano il suo letto erano affranti dalla consapevolezza che avrebbero perso quel grande uomo. Nella stanza furono posti in suo onore vasi pieni delle sue amate rose White Rock.  Ricordò come poi la derise davanti a tutti, quella povera donna. Sentiva nel ricordo il riverbero delle vibrazioni nel suo corpo, dovute alle sue forti risa, le vibrazioni che smuovevano il martelletto auricolare facendolo battere tra l’incudine e il timpano e facendo rimbombare onda dopo onda nella sua testa quel rumore derisorio, denigratorio, umiliante precludendo a chiunque altro intorno a lui su quel letto l’ascolto di quello scempio, che era tutto suo. Tutto dedicato a lui. Solo a lui. Il vecchio morente.

Così come la memoria quella maledetta memoria, gli fece venire in mente il giorno in cui non poté fare a meno di ammazzare con le sue mani il cane fedele di un vecchio, per il solo gusto di vederlo piangere. Ricordò come rideva, di gusto, mentre il vecchio versava lacrime, inerme come un bambino. Ricordava come tra gli ulivi dove aveva incontrato questo uomo, lì, alto, bellissimo, meraviglioso, vide avvicinarsi il cane alla ricerca di una carezza. Ricordò come il suo vecchio padrone sorrise alla scena del suo inerme fedele compagno e quel bellissimo giovanotto dall’aspetto gentile che si incontravano. Ricordò l’odore degli ulivi, il caldo, il rumore delle cicale. Ricordò la sensazione di bagnato delle ascelle e gli aloni della camicia, bianca come i petali delle sue rose  White Rock, che mai odoravano male, come loro. Ricordò come prese a stringere il collo a quel povero cane. Ricordò la disinvoltura con la quale riuscì a passare dalla carezza alla stretta in totale armonia. Ricordò la forza della sua mano. La sentiva come fosse ieri. Ricordò lo sguardo di quel cane che in breve morì sotto la sua stretta, e il suono dei lenti flebili guaiti, mentre gli veniva schiacciata la gola. Lo vedeva ancora quello sguardo, come fosse lì. Ricordò i muscoli del braccio scoperto dalla manica arrotolata della sua camicia linda lavata e stirata dalla madre, che si gonfiavano,  facendo diventare anche le vene dei canali nei quali affluiva la potenza micidiale peggiore di qualunque veleno e ricordò in quegli ultimi istanti di vita che ammirava con gusto questo suo bellissimo avambraccio che riusciva a spegnere la vita di quel povero animale. Ricordò lo sguardo di un bambino, di quel vecchio bambino, che osservava inerme l’assassino del suo cane, del suo affetto, della sua compagnia. Ricordò gli occhi increduli di quell’uomo. L’espressione attonita. Il suo essere impietrito. Ricordò come non riusciva a staccare lo sguardo che penetrava i suoi occhi, ai quali di solito e da sempre, sin da quando era bambino la gente si distoglieva, alla ricerca di pietà e compassione. Compreso suo padre e sua madre, anche loro, ricordò che non riuscivano a guardarlo negli occhi. Ricordò le lacrime di quel vecchio bambino scorrere lungo il viso, aveva l’impressione, steso su quel letto in attesa della morte, che si infrangessero una ad una sul centro della sua fronte mentre era incapace di muoversi. Come una tortura cinese. Una lacrima dopo l’altra lo colpivano come sassolini fastidiosi. Avrebbe voluto asciugarsi la fronte da quelle lacrime, usare le sue mani possenti per un ultima volta per proteggersi dai quei piccoli, ma pensanti colpi di acqua salata dolorosa, ma non riusciva, non poteva. Non poteva impedire il fastidio di ogni singola lacrima che si infrangeva sulla sua fronte. Quell’uomo forte, che aveva soffocato con una sola mano  un cane nel mentre mostrava ogni bianco dente, bianco come i petali delle sue rose, che il cavo orale conteneva sorridendo, mentre l’uomo vecchio e inerme accarezzava il corpo del suo amico ormai esanime piangendo, non era nemmeno più in grado di asciugarsi dalla fronte quelle lacrime che lo colpivano come una pioggia di grandine. Ricordò ogni dettaglio. Ogni dente. Ogni risa. Ogni lacrima. Come fosse lì. In quell’istante. Si rivide benissimo. Riprovò ogni emozione come fosse lì. Ogni fibra del suo corpo riesumava sensazioni apparentemente sepolte. Invece no.

Si sentiva qualche rantolo, che veniva interpretato dai cari intorno a lui, come gli ultimi richiami verso la vita e verso di loro; in realtà erano urla di disperata rabbia per quella invasione intollerabile, che non riusciva ad emettere, perché i polmoni non erano in grado di espellere sufficientemente fiato, attraverso quelle corde vocali flebili ed usurate. Era costretto. Era sottomesso. Alla morte. Era questo l’ultimo istante della sua vita. Trascorso solamente a fare i peggiori conti con se stesso. Senza versare una sola lacrima. Come una roccia. Una roccia bianca sulla quale è in grado di crescere anche una rosa White Rock.

I ricordi lucidi chiari e vivi continuavano ad invaderlo e a violentarlo, ad aggredirlo, a picchiarlo, ad insistere sempre e sempre e sempre per fare emergere quelle che erano le azioni che non aveva mai confessato, e che aveva commesso senza alcuna pietà e senza mai provare rimorso. Il rimorso.

E chi ha detto che la morte è bastarda? La morte è adorabile.

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