
Prologo
Non sono mai riuscito a scindere la nostalgia dalla frenesia. Nemmeno da bambino ci riuscivo, preferivo stare immobile a cercare di scambiare la frenesia con la paura, che passa accendendo una luce. Del resto la nostalgia è un passatempo, uno svago, la frenesia è un obbligo, un lavoro. Oggi, mentre la macchina scorre sull’autostrada del Brennero, capisco che provo solamente nostalgia per Carpi e per la sua aria immobile, l’aria della mia gioventù.
Anche il sole sembra nostalgico a quest’ora, l’aria fresca del mattino, pulita, tersa, fresca contro l’aria greve, calda, inquinata, pesante della sera, di nuovo nostalgia “si torna indietro col tasto rewind – frenesia, si corre avanti col tasto fast forward – speranza”. Ho scoperto il registratore nella mia mente quando sono riuscito a fermare il tempo o ad accelerarlo, dipende solo dal momento, l’estraneazione e la negazione sono i lubrificanti per le bobine, non esistono limbi, circonvoluzioni cerebrali, ma solo bobine, tecnologia, freddo, solitudine, anatomia, fisiologia e biochimica.
La frenesia nei muscoli delle gambe che li fa pulsare sotto la pelle immobile, tesa, gelata: fuori la nostalgia che copre, confonde, conforta, dentro solo frenesia da tenere nascosta, da confondere, da non razionalizzare.
Fra Campogalliano e Carpi si snodano campi verdissimi mescolati a case rurali, tutto è nitido, chiaro e anche dentro sento una chiarezza nuova e consapevole. I dettagli che vedo sono una serie di diapositive; clic su clic, luoghi, facce, situazioni, dettagli, fughe, baci, addii. Tutto veloce, automatico.
Sono nato a Carpi il 21 nell’estate di un anno con tredici lune, Daniel Bovet vince il nobel per la medicina, il 1957. Da grande sarò un grande quindi. Non avevo mai pensato di andarmene da qui, ma poi ho immaginato una vita diversa, da grande e poi ho sognato città grandi; avrei avuto almeno qualcosa di grande nella vita.